22 Ottobre 2024
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13 su 13, mister Carannante ci spiega il suo capolavoro

Foto di Agenzia Press GCONTE

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Intervista di Maurizio Longhi @riproduzione riservata

Si è proprio convinti che l’allenatore non conti più del 30% per una squadra? Ci si sbaglia, la percentuale è molto più alta, anche se poi è vero quando si dice che in campo ci vanno i giocatori, ma senza una guida saggia e carismatica non si andrà mai lontano. La stagione dei dilettanti è finita anzitempo per la pandemia dovuta al covid-19, ma comunque si possono trarre dei bilanci. Il campionato di Eccellenza, soprattutto il girone A, vedeva una superfavorita, l’Afragolese, con due principali antagoniste come Puteolana 1902 e Frattese, poi un gruppone di squadre ambiziose tra cui anche il Pomigliano. La squadra era allenata da un ottimo allenatore come Biagio Seno, che alla guida dei granata aveva vissuto ottime annate, tra cui quella indimenticabile nobilitata dalla vittoria della Coppa Italia nella finale contro i lombardi del Pontisola. Quest’anno i risultati non arrivavano, troppo pochi 14 punti dopo le prime 14 giornate, serviva una scossa, ma bisognava scegliere l’allenatore in grado di poter scuotere l’ambiente, una figura che portasse idee e mentalità, non solo novità. Patron Pipola ha scelto un colpo grosso come Roberto Carannante, un tecnico dal grande passato anche come calciatore, tante le sue vittorie, si pensi a quelle di Avellino e di Foggia, era giovanissimo quando ha incrociato Maradona nel Napoli. Poi da roccioso difensore si è fatto sempre valere annullando anche dei pezzi grossi come Beppe Signori, il quale restò contrariato da quella marcatura asfissiante. Quest’anno, dunque, in un momento di grave crisi e con una tifoseria ormai disamorata, il Pomigliano si è affidato a mister Carannante per provare a scuotere una squadra piatta, statica e abulica. La richiesta societaria era quella di rendere più dignitosa una classifica che destava preoccupazione. L’inizio era proibitivo contro l’Afragolese, la schiacciasassi del girone, si pensava che l’era Carannante sarebbe iniziata la settimana successiva. Invece, la scossa è stata immediata e i granata hanno inflitto un duro colpo alla compagine di Masecchia, almeno si poteva ritornare un po’ a sorridere per quanto la classifica restasse ancora deficitaria. Quella vittoria è stata il volano di una risalita imperiosa, da squadra piena di conflitti irrisolti, il Pomigliano ha iniziato a fare la voce grossa inanellando la bellezza di tredici vittorie consecutive. En plein. Ogni avversaria si trasformava in una vittima sacrificale da sbranare. Che fine aveva fatto quella squadra spaurita e insicura? Come era stato possibile modellarne una così travolgente e famelica?

Ce lo facciamo raccontare proprio dall’autore di questo capolavoro rimasto incompleto a causa dello stop, con Roberto Carannante partiamo proprio dall’abbrivio, contro quella Afragolese affrontata senza timori reverenziali nonostante il poco tempo per preparare la sfida: “Era una partenza difficile ma non potevamo partire battuti. Il mio arrivo ha comportato una rivoluzione nell’organico, sono andate via otto pedine di spessore e ho faticato per ottenere la permanenza di qualche elemento che consideravo funzionale alla mia idea di gioco. Tutti volevano approdare verso altri lidi, la situazione del Pomigliano non tranquillizzava e nessuno voleva correre il rischio di vivere un’annata negativa con i problemi che avrebbe comportato per la propria carriera futura. La squadra era demotivata, scoraggiata, il fatto che fosse impantanata nei bassifondi aveva creato un ambiente di contestazione, con alcuni giocatori addirittura nel mirino. Ho fatto un lavoro sul piano mentale, quei ragazzi avevano bisogno di ritrovare motivazioni e affrontare la favorita per la vittoria del campionato era un banco di prova importante. Vincere con un uomo in meno è stata una grande botta di adrenalina e autostima, quella che ci voleva per esorcizzare qualche ombra e ritrovare un pizzico di serenità. Poi la società, pur riducendo notevolmente il budget, mi ha accontentato mettendomi a disposizione giocatori come Bacio Terracino, Catalano, Pastore e mi sono concentrato su quell’organico cercando di trarre il massimo da ciascun giocatore”. Sempre grande signorilità e disponibilità da parte del tecnico di Bacoli che risponde con chiarezza e dovizia di contenuti, senza tralasciare alcunché. Proprio per questo, non si può mostrare indifferenza di fronte ai numeri spaventosi del suo Pomigliano: “Prima che mi insediassi alla guida della squadra, erano stati incassati 20 gol e realizzati altrettanti, bisognava cambiare marcia. Con me in panchina, oltre alle tredici vittorie, i numeri parlano chiaro: 29 gol fatti, solo 2 subiti, tra cui quello su rigore contro l’Afragolese e un altro ininfluente contro l’Afro Napoli in una gara terminata 4-1 per noi. Terminare undici partite con la rete inviolata non è un dato da sottovalutare, ma ci tengo a dire che tutto ciò è stato possibile grazie al contributo straordinario dei miei giocatori, che si sono comportati da veri professionisti mettendosi a mia disposizione. Dico che si sono affidati e fidati e i risultati ci hanno dato ragione. Bisogna sempre far parlare i fatti, il giudizio del campo è incontrovertibile, abbiamo portato di nuovo la tifoseria dalla nostra parte con un rendimento da rullo compressore”.

Mister Carannante ha accettato l’offerta del Pomigliano con convinzione, anzi, con una convinzione che ha lasciato di stucco la presidenza: “Quando ho firmato, avevo detto che non mi accontentavo di una semplice salvezza, puntavo in alto. Naturalmente senza fare proclami, i risultati si ottengono con la cultura del lavoro e se un allenatore crede ad un obiettivo c’è bisogno che lo facciano tutti gli altri, dallo staff alla squadra. Una menzione particolare la voglio fare per le persone che compongono il mio staff: Gennaro Cardamone, mio vice, Domenico Corcione, preparatore dei portiere e il preparatore atletico, Euro Baracchi. La loro collaborazione è preziosissima, ci tengo che si parli di Noi e mai di Io. Tutti insieme abbiamo fatto ricredere anche gli scettici, la tifoseria è ritornata a sostenerci ed è stata poi una bellissima soddisfazione ritornare al “Gobbato”, nella nostra casa. Il fatto che i giocatori mi ringrazino di essere rimasti significa che davvero si era creata un’alchimia speciale e, se il campionato non fosse stato interrotto, per me ci saremmo potuti togliere tante altre soddisfazioni. Nelle tredici partite con me alla guida, abbiamo affrontato le squadre di vertice e ci siamo sempre imposti con autorevolezza, non ci siamo sentiti mai inferiori a nessuno”. Ci sono momenti in cui un allenatore subentra a campionato in corso rilevando una squadra della quale deve prima di tutto risollevare il morale. Ad una persona spetta l’ingrato e delicato compito di dare fiducia e consapevolezza ad un gruppo. Siccome questa intervista è incentrata anche sulla figura dell’allenatore, chi meglio di Carannante, alla luce di quanto fatto a Pomigliano, può spiegarci qualche segreto di questo lavoro mentale: “Ritengo che la prima caratteristica di un allenatore debba essere la credibilità, devi far capire ai tuoi giocatori che ci credi prima tu a quello che dici, altrimenti il messaggio che si intende veicolare non attecchisce. Quando ho detto al presidente che firmavo per portare la squadra ai play off, ho dimostrato proprio alla squadra stessa che facevo sul serio, così sono riuscito a trascinarla nella condizione mentale nella quale volevo portarla. Ero convinto che avremmo trasformato quei mugugni in cori di incitamento, e così è stato. Dico sempre che il calcio è divertimento, se ci si diverte in allenamento lo si fa anche in partita e, con il sorriso, le cose riescono meglio”. Non è così facile riuscire a toccare le corde giuste dei giocatori perché possano ritrovare la consapevolezza nei propri mezzi. Anche perché devono arrivare i risultati, altrimenti le certezze saranno sempre latitanti. Ma quando una squadra ritrova fiducia, come è successo al Pomigliano che ogni settimana scalava posizioni in classifica, c’è il rischio che possa insuperbirsi, diventare leziosa, essere ghermita da una certa spocchia. In questo caso un allenatore deve lavorare ancora di più per scongiurare tale rischio: “Bisogna stare sempre sul pezzo – afferma mister Carannante – pensando di aver fatto male nella partita precedente. Può sembrare paradossale, invece, è fondamentale, almeno questo è il mio pensiero. Anche dopo una vittoria schiacciante e indiscutibile, bisogna allenarsi raddoppiando l’intensità come se si dovesse porre rimedio ad errori commessi. Che poi, anche dopo un 4-0, se si va a rivedere la partita, si trovano sempre degli errori da non ricommettere e su cui lavorare. In settimana voglio vedere sempre aggressività e fame, perché poi ci saranno anche in partita. I complimenti fanno piacere a tutti, mi sembra scontato, ma nutrirsene porta ad un rilassamento che può preludere ad un atteggiamento molle in campo. Attingendo al mondo agricolo, possiamo fare l’esempio di chi zappa la terra, se si ferma durante il lavoro ne risente tutto il raccolto finale. Solo a fine campionato, a giochi fatti, allora ci sta di ascoltare i commenti, ma non a campionato in corso. Dico sempre ai miei ragazzi che, quando giocavo, non leggevo i giornali, lo facevo quando le cose non erano andate bene perché lo vedevo come un impulso a migliorarmi. Quando andava tutto bene, mi autoconvincevo che fosse andata male proprio per evitare di adagiarmi. Quello che dico l’ho sempre sperimentato sulla mia pelle, in una competizione l’impegno non prevede fasi alterne, deve essere costante, voler sempre migliorare è la chiave per ottenere successi”.

Vincere non è mai facile, un allenatore lo sa bene, soprattutto perché deve lavorare su tanti aspetti, su quello mentale e su quello tattico. A tal proposito, chiediamo al tecnico granata cosa sia più importante tra il trasferire ad una squadra concetti tecnico-tattici da mandare a memoria o alzare il livello di autostima di ogni singolo giocatore a disposizione: “L’autostima è imprescindibile, senza di essa si può fare ben poco. Mi spiego meglio e, se prima ho fatto un esempio agricolo, per questo ragionamento ne faccio uno medico. Un dottore senza gli attrezzi può fare ben poco, una volta che li ha a disposizione poi ci mette tutta la sua competenza in materia. Ecco, l’autostima è l’attrezzo principale per un giocatore, senza il quale è inficiato anche il talento. L’allenatore deve dare uno spartito tattico ma rendendo partecipe la squadra, ci deve essere una condivisione con i giocatori, ciascuno deve capire perché gli viene chiesto di fare quel movimento. Se un allenatore chiede qualcosa ad un proprio giocatore senza farglielo capire è come se lo considerasse un automa e non una mente pensante. Chi allena deve sentire il dovere etico e professionale di sincerarsi che il concetto venga interiorizzato in modo che tra gli stessi giocatori ci possa essere un aiuto reciproco senza che debba intervenire per forza il tecnico. L’esperienza mi ha insegnato questo, cercavo sempre di imparare da ciò che mi chiedeva un allenatore e chiedo che anche i miei giocatori abbiano lo stesso desiderio, quello di apprendere sempre più concetti dai loro tecnici chiedendosi cosa abbiano imparato dopo ogni allenamento. Quello che si impara da giocatore lo si porta con sé come bagaglio per tutta la vita e aiuta a ragionare, a farsi una propria idea e ad avere anche uno spirito critico. La conoscenza emancipa una persona, confrontare le proprie idee è fonte di arricchimento anche perché è giusto che un allenatore abbia la sua idea di calcio. La qualità di un singolo aiuta, questo è innegabile, ma un allenatore deve andare oltre, anche perché solo se rendendo ciascuno partecipe di una idea lo si rende responsabile di ciò che fa”. Partecipazione, responsabilità, crescita, emotività, sono solo alcuni dei concetti affrontati e analizzati in questa lunga intervista con un tecnico come Roberto Carannante che ha totalmente cambiato volto al Pomigliano. Tredici partite e altrettante vittorie, un’ascesa vertiginosa e inarrestabile di una squadra fermata solo dal lockdown. Prima dell’altolà generale, l’Afragolese comandava il campionato avendo un organico da fuoriserie, poi c’era il Pomigliano che, a metà cammino, ha scoperto di poter ingranare marce ancora più alte, chi l’avrebbe mai detto.

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Giornalista pubblicista e' uno dei fondatori di www.footballweb.it

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