13 Settembre 2024
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Si scrive scuola calcio, si legge scuola di vita

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Servizio di Maurizio Longhi @riproduzione riservata

Stiamo raccontando tante storie di calcio in questo periodo, e tante altre ne racconteremo ancora, stavolta ne racconto una vissuta in prima persona, ai tempi della scuola calcio. Ogni storia ha una sua unicità e può insegnare qualcosa agli altri, anche se vissuta da ragazzi nel pieno dell’adolescenza. Soprattutto ai ragazzini va insegnato cosa significa fare gruppo, come preparare una partita, come remare nella stessa direzione e aiutare il compagno in difficoltà andando oltre le incompatibilità caratteriali. Fuori dal campo ciascuno sceglie chi conoscere meglio, all’interno del rettangolo di gioco si è un corpo unico e, se un elemento è in sofferenza, bisogna aiutarlo per il bene del collettivo. Due episodi prima di passare alla pagina che voglio aprire che risale ad un torneo in Spagna con la scuola calcio Real Salvo. Prima ne frequentavo un’altra affiliata con la Juventus, chissà perché la vita si diverta a fare questi scherzi, rispondere è complicato. Giocavo nel ruolo di difensore centrale, collocazione ereditata dalla scuola calcio di mio padre. Mi si rimproverava una cosa in particolare: di lanciare sempre lungo e non provare mai ad impostare l’azione.

Il fatto è che avevo troppa paura di tenere palla in una posizione del campo in cui se la perdi l’attaccante si ritrova in porta e non sarei riuscito a reggere la frustrazione di aver causato un gol. Così, appena ricevevo palla, me ne liberavo in men che non si dica. Di impostare palla a terra non se ne parlava, sopperivo mettendoci tanta grinta in marcatura. Andammo a giocare allo stadio Delle Alpi una domenica, prima di Juventus-Verona, ogni scuola calcio affiliata alla Juve aveva con sé cinque o sei ragazzi e, nello spogliatoio, i vari mister dovevano schierare la formazione. Davanti a noi facevano la spartizione dei ruoli: “Allora io metto il portiere, tu un terzino, tu un centrale…”. Dissero al mio mister: “Allora tu metti un centrale”, e lui fece il mio nome. Avrei giocato titolare al Delle Alpi. Scesi in campo e, durante la partita, mi resi conto che il rettangolo di gioco non era così infinito come immaginavo, le dimensioni sembravano simili al campo in terreno dove giocavamo noi, la televisione amplifica tutto. Non so perché ma quella partita giocai palla a terra, feci quei passaggi ai compagni che non mi ero mai sognato di fare prima, nel contesto che più avrebbe dovuto bloccarmi mi presi quei rischi a cui mi ero sempre sottratto. Molti esprimevano sbalordimento a fine gara, si chiedevano cosa fosse successo così all’improvviso.

Andammo nel nostro settore quando era iniziato il riscaldamento pre-partita sia della Juve che del Verona. Chiamammo tutti a gran voce Ciro Ferrara, il nostro compaesano, facendogli vedere che avevamo una cosa per lui: un mega uovo di cioccolato del Napoli. Se lo venne a prendere, glielo lanciammo, lui lo afferrò per poi posizionarlo al centro del campo dove restò per tutto il tempo del riscaldamento. Veniamo alla Real Salvo, fondata da quell’allenatore che era stato sempre l’acerrimo rivale della scuola calcio di mio padre. Non avrei mai pensato che potesse diventare il mio allenatore, ma quando si conoscono meglio le persone senza alimentare ostilità, può succedere anche questo, che due eterni rivali diventino amici e si stimino come mai avrebbero pensato di fare prima. Con la Real Salvo (intanto mi ero trasformato in centrocampista di quantità e rottura) lottavamo per vincere il campionato, era ormai entrata la primavera quando, un sabato pomeriggio, andammo a far visita ad una squadra di quelle che vengono definite ostiche e scorbutiche. Rientrammo negli spogliatoi all’intervallo sullo 0-0, non potevamo permetterci di lasciare punti per strada ma, per portarne a casa tre, avremmo dovuto cambiare ritmo. Troppo compassati e contratti nella prima frazione.

In quelle quattro mura, prima di ritornare in campo per la ripresa, il mister non parlò della partita che ci trovavamo a giocare, bensì del torneo in Spagna a cui avremmo partecipato di lì a qualche mese. Spostare l’attenzione e dirottarla ad una competizione relativamente “lontana”, ci tolse la pressione per quella partita, scendemmo in campo più liberi mentalmente conquistando una importantissima e sudatissima vittoria. Anche giocando in una semplice scuola calcio si capisce quanto sia importante ciò che ci si dice in uno spogliatoio, soprattutto in momenti delicati. Del resto, quando c’è l’agonismo la categoria lascia il tempo che trova. Ora veniamo al torneo in Spagna, al cuore di ciò che voglio raccontare. Esordimmo con il botto prevalendo con un largo risultato contro una squadra romana. Le altre due partite del girone le avremmo giocate a distanze di poche ore l’una dall’altra. In mattinata era in programma la sfida contro una squadra spagnola contro la quale perdemmo praticamente senza mai scendere in campo. Quell’atteggiamento timoroso indispettì la presidente, nonché moglie del mister, che si scagliò contro di noi dicendocene di tutti i colori. Si creò un clima di tensione che bisognava assolutamente disinnescare.

Nel primo pomeriggio ci aspettava la gara decisiva contro una compagine siciliana, per sperare di passare il turno dovevamo vincere con due gol di scarto contro un’avversaria che avevamo già visto all’opera: davvero niente male. Prima di scendere in campo, ci riunimmo negli spogliatoi, con noi la presidente, non ricordo cosa ci dicemmo in particolare, ma prima di aprire quella porta ci abbracciammo tutti forte gridando: “Uagliù, magnammancill”. Durante il riscaldamento, mi agitava pensare che avremmo dovuto vincere con due gol di scarto e che, subendone uno, ci sarebbe servita una impresa, così pensai che, al termine di quella avventura spagnola, mi sarei andato a rilassare in Abruzzo, dove da sempre trascorrevo le vacanze. Un po’ come fece Zoff, portiere della Juventus, durante la finale di Coppa Uefa contro l’Athletic Bilbao. I bianconeri stavano difendendo con indicibile sofferenza un gol di vantaggio in un finale concitato con i baschi all’assalto. Entrò Morini, difensore, al posto di un attaccante come Boninsegna. Zoff si avvicinò al compagno di squadra sussurrandogli all’orecchio: “Non ti preoccupare, pensa che martedì dobbiamo andare a caccia”.

Ci sono momenti in cui smorzare la tensione è fondamentale per non essere fagocitati dall’ansia, a farne le spese è la qualità di un rendimento. Iniziò la partita e passammo in svantaggio: giustiziati da una punizione magistrale. Dovevamo farne tre. Era quasi finito il primo tempo, quando uno dei nostri giocatori migliori si trovò solo davanti alla porta con il portiere avversario a terra, doveva solo appoggiare al di là della linea ma un difensore fece una scivolata disperata mandando la palla in calcio d’angolo. Era un presagio, tutto ci girava contro. Quasi non mi resi conto che lo stesso mio compagno di squadra che aveva fallito quell’occasione così clamorosa, segnò addirittura dal calcio d’angolo. Il primo tempo finì sull’1-1, avevamo bisogno di altri due gol.

Nella ripresa, ci pensò il nostro bomber, due gol praticamente identici, colpo di testa in caduta con la palla che, pian piano, si andava ad insaccare. 3-1, impresa riuscita! Sembrava impossibile ribaltarla, invece ci riuscimmo con grande carattere e caparbietà, da vera squadra. Sulle ali dell’entusiasmo, vincemmo sia ai quarti che in semifinale e, nella stessa giornata, si giocava anche la finale, di sera. Che emozione scendere in campo sotto le luci dei riflettori, su un campo in erba e cantando l’inno nazionale prima del fischio d’inizio. L’avversaria era una squadra di Cagliari, la Ferrini, erano belve feroci, tant’è che molti giocarono anche l’altra finale, quella della categoria dei più grandi. Perdemmo ma con la grande soddisfazione di essere arrivati fino in fondo, stanchissimi dopo quel tour de force di tre partite decisive in una sola giornata. Quanti insegnamenti di vita si possono trarre da una scuola calcio dove si socializza, si impara il gioco di squadra, a rispettare l’altro, a stemperare le tensioni, a reagire dopo le cadute e a capire che niente è impossibile con convinzione e determinazione.

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Giornalista pubblicista e' uno dei fondatori di www.footballweb.it

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