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Servizio di Maurizio Longhi @riproduzione riservata
Alla soglia dei 28 anni, Catello Mari aveva raggiunto il suo sogno: vincere un campionato con quella Cavese che gli aveva spalancato le porte del professionismo. Festa grande per lui, che era stato uno dei protagonisti di quella straordinaria cavalcata, le ultime immagini lo ritraggono felice e sorridente, mentre corre, solo con gli slip, con in testa un cappello da jolly biancoblu e una bandiera tra le mani. Fu una notte di festeggiamenti, nonostante la stanchezza sia fisica che emotiva, poi quel tragico incidente che l’ha strappato alla vita nel suo momento più bello. Per conoscere meglio il compianto Catello bisogna leggere l’emozionante libro di Fabrizio Prisco, “L’ultimo giorno del Leone”, che racconta in forma romanzata gli episodi più significativi della vita del forte difensore di Castellammare di Stabia ripercorrendo nei minimi dettagli quel 15 aprile 2006. Fu il giorno in cui la Cavese, battendo il Sassuolo in casa, brindò alla promozione in C1, poi all’alba del 16 aprile il tragico incidente che lasciò tutti sgomenti.
Era contentissimo di aver raggiunto quel traguardo dopo tanti sacrifici, gol importanti nonostante il suo ruolo gli imponesse di non farli segnare agli altri. Non vedeva l’ora di giocare in una categoria superiore perché il cuore gli suggeriva di restare a Cava de’ Tirreni nonostante fosse ormai diventato l’oggetto del desiderio di tanti club. Sognava un futuro insieme a Rosaria, la sua dolce metà, aveva tutto per guardare al futuro con felicità e ottimismo prima che fosse inghiottito dal buio senza più riemergere. Catello si era conquistato tutto con il sudore della fronte, sin dai tempi della scuola calcio, quando giocava nel ruolo di centravanti e fu determinante per la sua Rocchese nel sentitissimo derby contro l’Audace. Il suo gol si rivelò decisivo per violare Castel San Giorgio e aggiudicarsi il derby. Il suo sogno era quello di affermarsi come calciatore prima che molte cose gli facessero venire un senso di ripugnanza spingendolo a guardarsi altrove. Suo padre, Giuseppe Mari, ufficiale dei carabinieri, lo esortava a ripensarci quando gli arrivò anche una telefonata da Capri.
Si imbarcò nel traghetto per raggiungere la stupenda isola e rimettersi in gioco in Eccellenza, fu molto importante l’incontro con mister Giovanni Formicola, il quale lo portò con sé anche a Torre del Greco, in un’annata non molto fortunata. Era comunque un giovane di belle speranze, che aveva arretrato di molto il suo raggio d’azione ritrovandosi terzino sinistro, dove poteva far valere la sua grande fisicità e il piede educato. Sasà Campilongo lo volle con sé a Caserta, il dirigente dei falchetti, con un passato glorioso da calciatore, era intenzionato ad allestire un buon organico da mettere a disposizione dell’allenatore, mai immaginando che poi si sarebbe trovato lui a fare da timoniere. Troppi alti e bassi alla guida tecnica, i continui ribaltoni non miglioravano la situazione, così fu lo stesso Campilongo ad assumere il ruolo di nocchiero. Salvata la serie D, l’anno successivo si doveva giocoforza alzare l’asticella degli obiettivi mettendosi alle spalle le vicissitudini della stagione appena trascorsa.
Per l’allenatore fu giudicato idoneo il profilo di un tipo estroso e vulcanico come Eziolino Capuano, il quale lasciò Caserta prima ancora che iniziasse il campionato per accasarsi al Sora. La squadra fu affidata prima a Tudisco, poi a Merolla e infine a Barone, malgrado i continui cambi alla guida, i falchetti arrivarono a giocarsi i play off col Savoia. All’andata, finì 1-0 per gli oplontini, al ritorno il vantaggio biancoscudato sembrò tagliare le gambe ai rossoblu che, invece, reagirono, o meglio, ruggirono segnando i tre gol necessari per la qualificazione. Ma in quella giornata non fu una battaglia solo sportiva all’interno del rettangolo di gioco, ce ne fu un’altra che con lo sport non c’entrava alcunché e che vide protagoniste le due tifoserie. Il giudice sportivo assegnò la sconfitta ad entrambe e, per il passaggio del turno, si tenne conto del risultato dell’andata. Grande delusione per Catello Mari che, però, ritrovò tutte le sue certezze, ormai si sentiva pronto per il professionismo. Giocare a Caserta ne aveva temprato il carattere.
Sasà Campilongo lo contatto per portarlo con sé alla Cavese, tra lo scetticismo della piazza metelliana che avrebbe preferito un difensore più esperto alla luce dei proclami societari. Patron Cutillo sognava la vittoria del campionato e quella Cavese sembrava all’altezza delle aspettative. Gli aquilotti viaggiavano con il vento in poppa, Catello Mari era diventato il leader della retroguardia facendo ricredere tutti gli scettici. Anzi, quel numero 6 era diventato una garanzia, un baluardo che metteva la museruola a qualsiasi attaccante eccellendo nell’anticipo e nel gioco aereo. La Cavese arrivò al giro di boa in testa a pari punti col Manfredonia, poi nel ritorno qualcosa si inceppò e iniziò una lunga crisi. Nonostante tutto, la squadra centrò i play off da quinta in classifica apprestandosi a giocare la doppia sfida con la Juve Stabia che aveva chiuso il campionato solo un punto dietro alla capolista Manfredonia. Per motivi di ordine pubblico si giocò l’andata a Sora e il ritorno a Frosinone. Nei primi 90′, i metelliani sciorinarono una grande prestazione vincendo uno 1-0 e, con il pari al ritorno, si guadagnarono la doppia finale col Gela.
All’andata il risultato non si sbloccò, nonostante il rigore sbagliato che avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi in vista del ritorno in Sicilia. Fu battaglia a Gela, poi salì in cattedra l’arbitro lasciando la Cavese in nove. Catello mostrò la grinta di un vero Leone scuotendo i suoi compagni che, malgrado la doppia inferiorità numerica, arrivarono fino al secondo tempo supplementare prima della cocente beffa. Tutti si sentirono vittime di una ingiustizia, e per non farsi mancare niente la sopravvivenza della società era appesa ad un filo con il disimpegno di patron Cutillo. Per fortuna si fece avanti Della Monica, già presidente in passato, e la Cavese ripartì con rinnovate ambizioni. Si faceva sul serio, l’obiettivo era la C1, nonostante la nutrita concorrenza. Tra le pretendenti al primato c’erano il Sansovino, il Benevento, il Sassuolo, l’Ancona, non mancavano club di un certo blasone come Spal e Reggiana. Catello fu perfetto per tutto il campionato, andando spesso anche a segno giustiziando Sassuolo, Prato, Bellaria, oltre ad essere un muro invalicabile in difesa aveva anche il vizietto del gol, retaggio del suo passato da bomber.
Con carisma e autorevolezza si era affermato quale leader del pacchetto arretrato della truppa di Campilongo, che ad un certo punto fece il vuoto dietro di sé. Il gladiatore stabiese, non si esprimeva alla grande solo in campo, spesso e volentieri lo faceva anche nei salotti televisivi di importanti reti locali. Invitavano lui per l’intelligenza, la maturità e l’educazione, caratteristiche che lo rendevano affidabile anche fuori dal campo. Anche La Gazzetta dello Sport gli diede spazio con una lunga intervista, ormai Catello era il simbolo di quella Cavese che faceva tanto parlare di sé. Poi arrivò quel 15 aprile 2006, quella partita che poteva sancire la promozione aritmetica in C1. Era la quart’ultima giornata, ma si aveva la sensazione che, non chiudendo i giochi, le inseguitrici potessero rifarsi minacciose, anche considerando lo scontro diretto col Sansovino. In questi casi, bisogna andare all’assalto dell’obiettivo, se si traccheggia può emergere la sindrome del braccino corto e si fa solo il gioco delle antagoniste. Infatti, in un “Simonetta Lamberti” vestito a festa nella speranza di vivere una giornata indimenticabile, fu il Sassuolo a passare in vantaggio chiudendo il primo tempo avanti di un gol.
Negli spogliatoi, gli aquilotti si guardarono in faccia sapendo di non poter mollare proprio ad un passo dal traguardo, e nella ripresa ribaltarono il risultato brindando al salto di categoria con tre giornate di anticipo. Lacrime di gioia per Catello Mari che, in linea con il suo carattere solare ed estroverso, si lasciò andare ad una pazza esultanza abbracciando compagni di squadra e tifosi, per i quali era diventato un beniamino. Voleva assaporare ogni minimo istante di quell’estasi, aveva dormito pochissimo, ma il mal di testa era un ricordo, bisognava festeggiare la vittoria del campionato. La tensione si era ormai dileguata e la stanchezza prese il sopravvento, però, uno come Catello non avrebbe mai rinunciato alla cena di squadra per divertirsi e fare baldoria, dopo un campionato logorante ci si poteva lasciare andare. La fidanzata Rosaria gli disse di non passare a prenderla, le era salita la febbre, Catello si mise alla guida e raggiunse i suoi compagni di viaggio. Ormai si era fatto tardissimo, tutti raggiunsero le rispettive abitazioni, anche quell’interminabile giornata doveva giungere al termine. Mai avrebbe immaginato che ponesse fine alla sua vita, a casa non ci arrivò più. Se ne andò da vincitore, come un vero Leone…
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