13 Settembre 2024
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L’importanza di chiamarsi Milan

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lauriServizio di Valerio Lauri @RIPRODUZIONE RISERVATA


“L’essenza di ogni storia d’amore è l’incertezza”. Che va bene. Ma, magari, a un certo punto, uno si stanca di essere tenuto nel limbo del ragionevole dubbio e manda a farsi benedire tutto. E’ un po’ la sensazione imperante in tutti i milanisti di buon senso di questi giorni. Vedono il loro amore naufragare amaramente negli abissi dell’anonimato e si gettano nello sconforto. Come potrebbe essere altrimenti, dinanzi alla sciagurata decisione di sostituire l’ammiraglio serbo Mihajlovic, a cinque virate dal termine di una stagione contraddistinta dal mare in burrasca?
L’importanza di chiamarsi Milan è quella di non prendere decisioni avventate. Avventate come il fatto di piazzare sulla panchina rossonera, nel momento topico della stagione, con un sesto posto (quel che passa il convento) e una Coppa Italia (vedi parentesi precedente) da conquistare, un novizio come Brocchi. Ora, magari il buon Christian col tempo si rivelerà il nuovo Guardiola, però a questa squadra stralunata e raffazzonata serviva un sergente di ferro come Sinisa, non un orsacchiotto che quando lancia sguardi minacciosi a Bacca suscita ilarità.
L’importanza di chiamarsi Milan è sempre stata quella di avere carattere. “La verità è sempre pura e mai semplice”. La verità è che questo Milan, un carattere non ce l’ha. Aveva assunto per osmosi la vena battagliera (almeno quella) di Mihajlovic, riuscendo, prima del Sassuolo ormai lanciato meritatamente verso l’Europa (speriamo non quest’anno), ad inanellare un filotto di dieci risultati utili consecutivi. Visti i tempi che corrono, oro colato. Tempi passati, purtroppo.donnarumma milan
Perchè l’importanza di chiamarsi Milan è anche quella di saper soffrire. E’ anche quella di sapere evitare di perdere partite che avresti dovuto vincere. L’importanza di chiamarsi Milan è un ragazzotto altissimo di 17 anni e talento smisurato, che non si arrende alla sassaiola degli avversari. E che deve inchinarsi solo ad un rigore e, al 94′, ad una punizione piazzata sotto la traversa. Gianluigi Donnarumma è forse il più fulgido esempio di quello che è stato il Milan e di quello che (si spera) sarà. I suoi guanti trasudano, oltre all’ovvia voglia di metter in mostra il suo potenziale, amore per la maglia che ha scelto da quand’era piccolo. Lo stesso amore che non si trova in (uno a caso) Jeremy Menez, che nella sua giornata fortunata sprizza opportunismo da tutti i pori e infila la rete di Gollini (altro enfant terrible), con la stessa facilità con cui si esibisce in colpi di tacco inutili e dribbling funambolici abortiti.
L’importanza di chiamarsi Milan è stata sempre quella di avere capitani all’altezza. Gente in grado di smuovere un intero spogliatoio. Capitani non solo per la fascia, ma anche per il cuore. Non ce ne voglia il buon Riccardo Cuordileone Montolivo, ma, con la maglia rossonera e la fascia al braccio, abbiamo visto passare uomini con personalità dilagante. I Maldini, i Baresi, ma pure i Kaladze, a volerla dire tutta, hanno sempre messo in campo l’ardore di chi conosce il passato glorioso della squadra per cui suda, a differenza del fantasmino con gli occhioni azzurri.
“La bellezza è una trappola in cui ogni uomo di buon senso sarebbe felice di cadere”. Carlos Bacca, però, lo fa troppo spesso. Ok, ti siamo grati per i tuoi 15 gol, oasi nel deserto dell’incapacità di questo Milan di arrivare alla porta con conclusioni che non minaccino i tifosi in curva. Però queste rabone che mascherano un sinistro carente, anche basta. Ed è pur vero che quel “tizio nuovo” in panchina magari ti è stato sui cosiddetti sin da subito, per quella sostituzione senza senso nella gara col Carpi. Ma ciò non ti dà certo il diritto di giocare a rimpiattino con Menez, su chi è meno concreto e più arzigogolato.
“L’ignoranza è simile a un delicato frutto esotico, toccatelo e la sua freschezza è sfiorita”. Honda lo potremmo definire un frutto esotico. Potrà non piacere, proprio perchè è un sapore forte e che non si sposa con tutto (ad esempio con la rapidità di gioco). Però è quanto di meglio si avvicina alla definizione di trequartista che Brocchi si ostina a voler utilizzare. Il giapponese è lento in barba al suo cognome, ma ci mette grinta e piedino nipponico. Da una sua conclusione da fuori nasce la rete del vantaggio e le migliori occasioni rossonere. Nella pochezza generale, un piccolo (molto piccolo) sorriso da tutelare.
“La memoria è il diario che ciascuno di noi porta sempre con sé.” Perchè l’importanza di chiamarsi Milan è quella di avere una storia di tutto rispetto, croce e delizia di una società che faceva invidia al mondo e che, adesso, fa solo tristezza. Una società assente, che non riesce nemmeno più a reagire a qualche errore arbitrale di troppo che contribuisce a rendere inerte un prodotto già scadente come questo Milan. Il rigore con cui l’arbitro Di Bello risveglia l’orgoglio veronese è scandaloso (mani di Romagnoli dopo spinta energica di Pisano), ma di cosa ti vuoi lamentare se la reazione a un tale affronto è la paura della rimonta avversaria?
L’importanza di chiamarsi Milan è anche quella di saper risorgere a vita nuova. “Se non ci mette troppo, l’aspetterò tutta la vita”. Ecco, magari, i tifosi rossoneri sperano di rivedere un Milan vincente, prima di finire sotto terra.

About Valerio Lauri 761 Articoli
Nato nella Nola di Giordano Bruno e cresciuto a pane e calcio. Amante della parola scritta, evasione dalle indigestioni di matematica e informatica universitarie. Appassionato di musica a 360 gradi e lettura, nostalgico ma teso alle novità.

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