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Intervista di Michele Pisani @riproduzione riservata
Altro giro, altra corsa. Venghino siori e siori, il treno dei ricordi raggiunge la città di Ravenna. Nella città tanto cara al sommo poeta Dante Alighieri il nostro interlocutore lavora sempre nel mondo del calcio. Allena dei piccoli atleti, li prepara per il grande salto. Vittorio Torino, quarantacinque anni e fisico da granatiere. Ha giocato per tanti anni come attaccante. Messina la sua esperienza più esaltante, in una sola stagione ventiquattro reti in campionato e due nei play-off. Nella città peloritana è in assoluto quello ad aver realizzato il maggior numero di reti in una sola stagione. Diametralmente opposta quella, invece, con i Lupi. Una decina di presenze senza mai la gioia di un gol. Il calcio non è una scienza esatta. Ma bando alle ciance e diamo il via all’ennesimo amarcord. “Per il momento sto dando una mano alla scuola calcio di Giuseppe Pregnolato abbiamo giocato assieme a Ravenna. Vivo qui con la famiglia da qualche anno”. Tutta la trafila nelle giovanili, come sei approdato ad Avellino? “Fu su precisa volontà di Gino Corrado che mi portò per un provino a Mercogliano. Debbo tutto al talent-scout irpino. Ad Avellino ho fatto tutta la trafila sino all’esordio in B. Ricordo con orgoglio quel periodo, eravamo un bel gruppo.
“Avellino esperienza importante, rammaricato solo di non aver mai fatto un gol”
C’erano giocatori di talento, vincemmo anche una finale di Coppa Italia contro la Fiorentina. In quel periodo con me c’erano Pecchia, Drago, Voria, Parisi, Balzano, D’Alessio, Ferraro e tanti altri. L’allenatore era Miceli, poi Del Gaudio.”. Quando si parla di rammarico la mente lo riporta a quella gara ed al rigore sbagliato ma soprattutto alle tante voci fantasiose che accompagnarono per molto tempo quel tiro dagli undici metri. “Come ti dicevo in precedenza con l’Avellino ho due ricordi, il più bello ed il più brutto della mia carriera. L’esordio in B contro il Cesena è stato senza dubbio il momento più emozionante. Scendere in campo con la maglia biancoverde e poter giocare, al Partenio, per la squadra che mi aveva lanciato fu esaltante. Lo ricordo come fosse oggi era il 7 giugno del 1992, l’ultima in casa di quella stagione. Il rovescio della medaglia l’oramai famoso penalty sbagliato contro il Messina. Tornavo con grande piacere ad Avellino, la città che mi aveva cresciuto calcisticamente. Venni a gennaio ma ebbi un grave infortunio che mi limitò, giocai solo quattro gare da titolare poi in allenamento subii un infortunio alla caviglia. Diciamo che non riuscii a dare quello che avrei voluto, tornando alla gara in questione, si decideva la posizione in classifica per i play-off, perdemmo per uno a zero. Quella stagione fu maledetta in tutti i sensi, non solo per il mio infortunio. Fa parte del calcio ma a distanza di tanto tempo resta un grosso dispiacere”. Il Partenio, ti manca? “Certo. In quegli anni giocare ad Avellino era un vanto. Il pubblico era l’uomo in più. Sempre pronti a dare una mano e soprattutto nei momenti difficili”. Cosa pensi, invece, del tifo di oggi e secondo te come mai anche al Partenio non ci sono più i tanti tifosi di una volta? “Ho saputo che contro il Novara ci sono stati solo un centinaio i paganti. Ad essere sinceri non è solo un problema vostro, è un po’ dappertutto, effetti collaterali del calcio moderno. Però mi suona davvero strano, Avellino è famosa per essere una piazza molto calda, spero si tratti solo di un caso isolato. I giocatori hanno bisogno di un pubblico straordinario come quello irpino. Forza Lupi, sarei felicissimo di rivedere i biancoverdi in massima serie. Per me anche la B sta stretta ad una città che vive di calcio. Sto seguendo il campionato cadetto, avete un bravo mister. Novellino ho avuto il piacere di conoscerlo nell’anno di Ravenna. Uno molto sanguigno che non ama perdere. Sono convinto che farete bene, io tifo per voi”. Siamo ai saluti. “Michele consentimi di abbracciare anche se virtualmente tutti gli amici di Avellino. Un saluto alla nuova generazione, un pensiero particolare per chi mi ha visto in quegli anni vestire la mitica maglia biancoverde”. Altro giro, altra corsa. Pronti per l’ennesimo contatto. Non perdeteci di vista, potreste pentirvene.
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