Views: 3
Abito scuro, come quello di chi è in lutto. Camicia bianca, come la purezza di un fanciullo che ha nel cuore una sola squadra: la Roma, la sua Roma. Sguardo timido e introverso, che lo ha accompagnato durante l’intero arco della sua carriera calcistica. E poi il contesto, che lo ha sempre visto a disagio: una conferenza stampa, le domande, il confronto, le critiche.
Francesco Totti lascia la Roma. Non per sempre, forse, ma per adesso sbatte la porta in faccia a tutti e si ritira a vita privata. Intendiamoci: la Roma, società quotata in Borsa e azienda privata, ha tutto il diritto di prendere le sue decisioni in materia di “risorse umane”, perché di questo si tratta.
Totti, dall’alto del suo curriculum, ha il diritto e forse il dovere di spiegare perché lascia l’unica squadra nella quale ha militato, e che ama come una parte del suo stesso essere.
Il presidente Pallotta, o chi ne fa le veci, ha il diritto e il dovere di ricevere critiche, ascoltarle e poi rispondere.
Fin qui, sono cose naturali.
Il problema è che il management della Roma, ancora una volta, ha dimostrato una scadente capacità di programmazione nel medio e lungo termine.
Una società intelligente impiegherebbe l’eterno Capitano al meglio delle sue competenze: non manageriali, perché non ha i titoli e neanche l’esperienza, ma sportive.
Francesco Totti sarebbe un eccellente direttore sportivo, con delega all’osservazione e alla scoperta di talenti, sul modello di Ajax, Borussia Dortmund, Udinese, Atalanta.
Perché di calcio e calci ne capisce, avendone ricevuti tanti.
“Non mi hanno fatto fare niente” è l’urlo del fanciullo che scopre la nudità del re
Lascia un commento