Views: 2
Servizio di Raffaele Cioffi ©riproduzione riservata

La pausa giunge a puntino. Il Napoli anche se impone il suo gioco, non raccoglie quanto merita, complice anche la moltitudine di errori individuali che gli avversari capitalizzano sempre. A ragionarci sopra, si giunge alla conclusione, che la situazione che si vive e’ preoccupante, ma nessuno ormai si sorprende più. Da difesa impenetrabile la passata stagione, dopo il gap di inizio stagione, il Napoli continua a subire gol ed anche contro la Lazio la sensazione è che si potesse fare di più. L’errore del singolo penalizza una squadra incapace di reagire, schiaffeggiata nell’umore, incapace di rialzarsi con ancora mezzora e più a propria disposizione. L’infortunio di Reina sul tiro di Keita, tutt’altro che irresistibile, apparecchia l’ennesima prova da “vorrei ma non posso”, il rimpianto di non avercela fatta per questione di centimetri, traditi da disattenzioni, problemi atavici, cattive abitudini assai simili ad inguaribili vizi. Contro la Lazio, squadra compatta ed intelligente, caparbia a raccogliere il massimo col minimo sforzo, il Napoli ha subito il dodicesimo gol nelle ultime otto gare, ovvero da quando è assente Raul Albiòl. Lo spagnolo s’è infortunato a fine settembre contro il Benfica e da allora, sarà un caso oppure no, la squadra s’è disunita ed ha perso certezze, sicurezze, convinzioni. Albiol era il termometro invisibile dell’equilibrio, la spalla ideale per guidare Koulibaly ed il resto dei compagni di reparto. Chiriches s’è confermato attento e lucido in ogni situazione, ma non potrà mai avere, nel breve, il medesimo carisma e la personalità forgiata nel tempo, la fiducia degli altri conquistata a fatica e, proprio per questo, certificato di garanzia.
L’altro dato allarmante è che il Napoli solo quattro volte ha concluso una partita senza subire reti: è successo a Palermo e Genova in trasferta e con Chievo ed Empoli in casa. Poche eccezioni per una squadra che, con Sarri, aveva sempre fatto leva sulla propria attenzione difensiva e sulla straordinaria capacità di essere concentrata ben oltre il novantesimo, senza avvertire né fatica mentale né cali di forma. Il dubbio sorge spontaneo alla luce dell’ennesimo errore di Pepe Reina. Riduttivo considerarlo unico responsabile del pareggio contro la Lazio, ma è assai elementare avvertire l’esigenza di discutere delle qualità di un portiere esperto, carismatico, d’assoluta personalità ma, da mesi, vittima di troppi infortuni che ne hanno limitato le prestazioni. Keita arriva in area fin troppo facilmente ma la conclusione meritava ben altra risposta ed invece s’è insaccata goffamente alle spalle dell’ex Liverpool. Le mani al volo successive al gol sono lo specchio del disagio umano di un personaggio consapevole dell’errore e tremendamente mortificato, prima con sé stesso e poi coi tifosi.
Ne ha ancora tanti che lo supporteranno mentre l’opinione pubblica devia il discorso sul caldo tema del mercato: perché, in estate, è stato sondato Sportiello salvo poi dar fiducia al napoletano Sepe, portiere di qualità ma reduce da una stagione difficile? Perché, ancora, l’ex promessa Rafael – proprietario di un ingaggio da due milioni lordi annui – è stato confermato come terzo nonostante la necessità di giocare per provare, anche solo in parte, a recuperare fiducia e autostima? Dubbi leciti ma solo marginali al tunnel di quesiti sull’ennesima occasione stagionale persa.
Atene piange, ma in questa situazione Sparta ride ed anche di gusto. Spesso gli aquilotti dal San Paolo sono usciti a mani vuote. Qualche volta hanno incassato caterve di gol. Dopo queste esperienze passate, dopo sabato il punto d’oro conquistato al San Paolo contro il Napoli, la Lazio si è guardata allo specchio. E guardandosi, può senza dubbio dire che qualcosa è cambiato. Non è più quella giovane ragazzina acerba con tanti perché nella testa. Ora sta crescendo, sta diventando donna. Questo significa che gli uomini di Inzaghi, stanno percorrendo la giusta strada, ma d’ora in avanti è vietato tornare indietro. Qualche passo falso potrà esserci, ma niente più bambinate. Inzaghi, in questo, è stato come un padre. Partito, o forse meglio dire ritornato quando già era sulla via di Salerno. Ritornato si è rimboccato le maniche, e tra le mille difficoltà di una estate con mille punti di domanda, e piano piano, nel segreto dello spogliatoio ha prima rassicurato tutti, poi ha cementato il gruppo ed infine ha cominciato a dare anche un’anima a questa squadra. Un’anima tignosa, fatta di persone che non ci stanno fino alla fine a perdere. Un po’ come erano lui e suo fratello Pippo in campo. E non importa se il gol è spettacolare o è una puntata sotto porta: l’importante è farlo e raccogliere punti per alimentare il sogno Champions.
Lascia un commento