9 Ottobre 2024
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Napoli: amaro in bocca a due passi dall’impresa

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Paris Saint-German-Napoli in matematica si chiamerebbe prova del 9. E’ questa la sfida, il test che i ragazzi di Ancelotti sono tenuti a superare. Il Parco dei Principi spaventa, così come spaventa l’attacco dei francesi: da Cavani a Mbappé, da Neymar a Di Marìa, tutti schierati nel 4-2-3-1 di Tuchel. Dall’altra parte del rettangolo verde, Ancelotti ripropone, tatticamente, la formazione che ha battuto il Liverpool. Un Maksimovic esterno di difesa è, infatti, l’arma in più per contrastare il PSG. Il 4-4-2 degli ospiti, diventa all’occorrenza un 5-3-2, con Callejon sempre pronto a ripiegare e dare man forte. In attacco Mertens è preferito a Milik, e gli si affianca Insigne, reduce dall’infortunio che gli ha impedito di partire per Udine. 
Malgrado chi si aspettasse i padroni di casa con il pallino del gioco in mano, gli azzurri dimostrano prontezza e determinazione anche lontano dal suo pubblico (relativamente, visti i 5000 tifosi azzurri). Soffrire le ripartenze del PSG è del tutto inevitabile, specie quando hai di fronte uno fenomeno appena 19enne reduce da un mondiale vinto e uno dei calciatori più forti al mondo. La capacità degli azzurri, però, è tutta lì. Nell’attesa e nella ripartenza. Il palleggio, fra gli elementi tipici dell’amato sarrismo è rimasto come un qualcosa di connaturato nelle menti dei ragazzi di Ancelotti. Permette di venire spesso fuori da situazioni difficili con estrema facilità e di trovare spazi per eventuali ripartenze. 
In più, l’asse Callejon-Insigne funziona alla perfezione. E dopo la traversa di Mertens (ormai quasi un’ossessione per il belga), al 29°, l’attaccante di Frattamaggiore finalizza con un pallonetto il delizioso assist dello spagnolo battendo Areola. La dimostrazione che il Napoli può fare male in qualsiasi momento, contro qualsiasi squadra. La nuova posizione di Insigne, quasi da centravanti mobile davanti alla difesa del PSG, è una trovata del tutto geniale di Ancelotti. Così il numero 24 azzurro taglia il traguardo 2 reti in Champions e 8 in stagione fra campionato e coppe. 
Poche le sofferenze procurate dal PSG. All’occasione Mbappé, risponde sempre presente in stile Garella , David Ospina che pian piano si sta conquistando la fiducia di tifosi e compagni. 
Dopo un primo tempo in cui gli azzurri dimostrano di tenere testa ai francesi, esprimendo un tipo di gioco organizzato, costruito, ma soprattutto voluto e non affiato alle individualità, nel secondo tempo il PSG è a trazione offensiva. L’entrata di Kehrer al posto di Benat ancor più spinta sugli esterni e Callejon spesso è costretto a diventare quasi un terzino aggiunto. L’autorete di Mario Rui, molto sfortunato (d’altronde questo era forse l’unico modo per “concedere” gol) motiva i parigini che nel secondo tempo creano più pericoli alla retroguardia difesa dal colombiano. 
L’occasione più pericolosa cade sul finale di partita: la punizione di Neymar è smanacciata ancora in calcio d’angolo da Ospina, che risponde ancora una volta presente. Nei minuti finali, però, quando tutto sembra essere finito Di Marìa caccia dal cilindro un sinistro magico su cui nulla può l’estremo difensore partenopeo. Sul finire del terzo minuto di recupero su 5 concessi (a parer oggettivo forse anche troppi), il Napoli vede svanire l’impresa davanti a sé, ad un passo dal traguardo, lasciando così per ora il Liverpool in testa al girone.

La mancata vittoria è solo quel po’ di amaro in bocca, lascia solo quell’odioso rammarico di non aver ottenuto del tutto ciò che ti spettava. Non può e non deve condizionare una partita giocata a ritmi altissimi, giocata come in casa a mettere in pericolo una squadra che di soldi ne ha spesi il quadruplo per avere uno come Neymar, ma non è bastato.
Il bel gioco è rimasto. E’ solo cambiata l’angolazione da cui apprezzare la bellezza di un sistema di gioco che certamente non predilige un così alto palleggio come con Sarri, ma che tuttavia non lo sacrifica completamente perfezionandovi un preciso equilibrio con la concretezza, tipica caratteristica di Ancelotti.
La capacità di adattarsi a partita in corso, di riuscire a risolvere i grattacapi procurati da un infortunio improvviso di Insigne, il coraggio di gettare nella mischia Fabìan Ruiz che, anche se ancora acerbo, dimostra che la tattica è nelle sue corde (è anche frutto suo il gol che ha portato al, purtroppo, momentaneo vantaggio), l’adattamento di Maksimovic, praticamente un nuovo acquisto del Napoli, a terzino e la riscoperta conseguente di un difensore dalle zero sbavature (in partite come queste è fondamentali non sbagliare), l’incoronazione di un ormai Allan infaticabile capace di spalleggiare con chiunque pur di divorare il pallone. La bellezza del Napoli è tutta qui: nell’unione fa la forza tipico sarriano e ripreso senza buttare nulla da un allenatore di spessore.
Il lavoro di Ancelotti continua ad essere rivoluzione capolavoro al tempo stesso. Rivoluzione perché c’è turn-over, perché giocano tutti, perché ce la si gioca anche in Champions. Capolavoro perché si scende in campo con l’obiettivo primario di vincere, di tenere testa a tutti senza mai ritenersi secondi a nessuno prima che l’arbitro fischi il novantesimo.

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