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Intervista di Michele Pisani @riproduzione riservata
Scrivere un amarcord non è facile. E’ un pezzo di vita in poche rige, devi avere alcune qualità. La prima è senz’altro una consistente conoscenza calcistica, accomunata ad una indispensabile dose di fantasia oltre ad un pizzico di pazzia. Ebbene, tralasciando le prime due per manifesta incompatibilità, non ci rimane altro che puntare tutto sull’ultima. Sappiamo cosa state pensando e siccome la colpa è tutta del nostro ego che crede nelle nostre qualità, pur di accontentarlo ci sforziamo di sembrare alquanto normali. Se è vero come qualcuno dice che l’emozione non ha voce, noi dovremmo starcene il silenzio per ore. Queste interviste ci hanno regalato immense soddisfazioni, poterli conoscere è stato il coronamento di un sogno. Potremmo citarli, uno ad uno, per evitare di dimenticarne qualcuno non lo faremo. E’ giusto ricordare su tutto l’abbraccio con Reali o il saluto affettuoso ai fratelli Piga. Da brivido. Adesso si è aperto un altro filone, quello dei ragazzi del 73’. Un grazie particolare va al grande Piero Fraccapani, uno che ci messi subito al nostro agio. Il rapporto è confidenziale, da vecchi amici. Piero pretende poco o nulla in cambio ma guai a dimenticarci di mandarci una copia dell’intervista, le vuole tutte e le legge con particolare interesse. Prima di iniziare, il solito refrain. Altro giro, altra corsa. Venghino siori e siori, la giostra dei ricordi è pronta per un altro tuffo nel passato. Allacciate le cinture e…amateci per come siamo. Prendere o lasciare.Il contatto c’è stato. Stava guidando. Non poteva trattenersi al telefono ed allora ci siamo giocati, subito, il jolly. La parola magica lo ha fatto inevitabilmente sorridere. “Che piacere, però ci sentiamo più tardi, nel pomeriggio”. Piaser ci congeda ma è solo per poco. L’amarcord targato Avellino ha trovato un altro dei tanti campioni che hanno indossato la magica maglia bianco verde. Siamo sulle tracce dei “ragazzi” che nel 1972-73 vinsero un importante campionato. Il passaggio in cadetteria, il lasciapassare per la grande galoppata, culminata con l’approdo in massima serie. Dopo Fraccapani, Zoff, Pantani e Marchesi è la volta di Piaser, in poche parole il cerchio si stringe. Un po’ alla volta stiamo mettendo assieme i diciassette autori della memorabile sfida con il Lecce. Ce la faremo, il tempo è dalla nostra parte. Codraro vive ad Avellino, non sarà un problema trovarlo, altro asso nella nostra manica da sfruttare a tempo debito. Le foto di quegli anni potrebbero risultare un problema ma non per noi che attingiamo alla fonte ossia direttamente dall’archivio personale di ognuno di loro. Bruno Piaser, classe 46, cresciuto è cresciuto nel Torino. Su internet c’è scritto che è nato il 49 e non è vero. “Tante cose sono sbagliate e soprattutto non c’è la mia carriera per intero”. Ecco, allora facciamolo noi. Dall’inizio. “Ho fatto tutta la trafila nei granata e come accadeva ai quei tempi per vedere se avevi carattere e se eri portato per i sacrifici ti mandavano in piazze calde dove la tensione era tanta. Tifosi calorosi ma anche dal palato fine che ti osannavano ma potevano anche distruggerti se non gli andavi a genio. Quando giocavi al Sud al ritorno a casa era tutto rose e fiori, l’esame della vita lo avevi sostenuto e potevi giocare al calcio. Mi toccò la Puteolana, una esperienza importante, mi fece crescere tanto. Poi ci fu il Parma per quattro stagioni e l’Avellino per due, la vittoria di C1 e la prima in cadetteria Poi anche in con Modena sino al 1978. Oggi il calcio è un’altra cosa, sin da ragazzi si sentono tutti dei Maradona e la colpa è dei genitori che glielo fanno credere Maradona e la colpa è dei genitori che glielo fanno credere. Non si insegna più nulla nelle scuole calcio, nemmeno i fondamentali. In pratica non hanno più fame, ai miei tempi ci chiamavano quelli della razza Piave. Tutti figli di contadini che conoscevano la sofferenza. Oggi c’è solo il test di Cuper, è tutta forza fisica, non vedi un ala che crossa dal fondo.” Ecco cosa scrivono di lui su un sito della compagine emiliana. “Piaser Bruno, terzino che spazzava via tutto ciò che gli si parava davanti, una ruspa, veramente efficace”. “Ai miei tempi ci voleva tanto sacrificio. Io ho iniziato con i fratelli Sentimenti IV e V. Nel Torino calcio i giovani li forgiavano con il metodo antico. Ricordo che dovevi calciare bene di destro e di sinistro. Si usava il muro e se sbagliavi ti facevano fare tanti giri di campo”. Il grande toro? “Si, ero compagno di Sala, Pulici, Agroppi e del compianto Gigi Meroni. Tutti campioni senza eguali”. Poi Avellino…“Si, due anni stupendi. Venni in Irpinia con mia moglie ed una figlia di pochi mesi. L’Inizio non fu facile, poi con il tempo ho imparato ad amarvi e mi siete rimasti nel cuore”. Come tutti quelli del nord ? “No. In effetti voi siete un po’ come noi. Diffidenti all’inizio ma molto socievoli in seguito”. Mi parli dei suoi compagni ai tempi dell’Avellino, dal più simpatico a quello più sobrio sia in campo che nella vita. “Su tutti c’è sicuramente Pantani. Uno che amava scherzare sempre, le combinava di tutti i colori. Mi viene in mente Zucchini ma credo che Zoff fosse il più serio. Sempre galante e preciso, tutto casa e campo, uno al contrario di Pantani”. Un gruppo come pochi. “Eravamo contati, forti tutti ma senza ricambi. Una squadra di soli diciassette giocatori. Un caso davvero raro. C’era qualità e quantità, tutti uniti, una vera famiglia. Fu questo il segreto di una grande annata”. Lei ha giocato anche contro i lupi in cadetteria vero? “Si. L’anno della promozione in massima serie di Di Somma e compagni. Io giocavo con il Modena”. Prima di chiudere è d’obbligo parlare del grende presidente Sibilia. “Un vero personaggio. E’ non è per dire ma uno come lui non nasce più. Io ho avuto un rapporto formidabile, basta che le dico che sono stato uno se non l’unico a varcare l’uscio di casa sa. Mai nessuno è stato a casa Sibilia. Era come un padre, affettuoso con me e con la mia famiglia. A volte capitava che mia moglie venisse agli allenamenti con la carrozzina con mia figlia piccolissima. Lui, premuroso come pochi, le veniva incontro e apriva il cancello e la faceva accomodare a bordo campo. Ho vissuto a Mercogliano proprio dalle sue parti e mi prestava anche la macchina per uscire. Ricordo che era una Alfa 2000. Tutti lo conoscevano e quando arrivava a Milano per la campagna acquisti era inseguito a destra e a manca. Era capace di fare una squadra la mattina e di rivendersela la sera. Gli altri stavano fermi ai box, lui girava in continuazione. Lo conoscevano tutti e gli volevano un gran bene. So che legge il vostro giornale ed allora le chiedo di abbracciarlo forte da parte mia. Gli voglio un gran bene, resterà sempre il mio presidente”.
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