Views: 1
Ad un certo punto, viene da chiederselo. Il Milan sta giocando contro sè stesso? I problemi di Montella nascono dalle sue stesse decisioni? La redenzione tardiva, con recriminazioni finali, è figlia del suo continuo snaturare le (poche) certezze maturate l’anno scorso? Basta un rapido flashback. L’anno scorso, di questi tempi, il Milan viaggiava in seconda piazza, dopo la vittoria col Chievo e appena prima del bolide di Locatelli che affondava la Juventus. Non era un Milan spumeggiante, ma era un Milan efficace, peraltro con Paletta e De Sciglio titolari. La questione è tutta qui: è lecito sacrificare il risultato, in nome di un fraseggio ricamato?
La risposta è, ovviamente, no. Spalletti lo sa bene e si gode la seconda piazza, conquistata a colpi di Icardi. Anche se, forse, sarebbe più giusto dire che Bonucci, ossia il capitano milanista, ha omaggiato quello interista di due reti, in luogo del tradizionale gagliardetto. Il complesso di inferiorità di chi affronta lo stesso campionato dello spumeggiante Napoli di Sarri, evidentemente, sortisce questi effetti. La ricerca forsennata della fantasia al potere fa dimenticare che il buon Suso non è una punta che legittima il 3-5-2. Bensì una freccia all’arco che rende di più dalla distanza, per le sue indubbie doti balistiche. L’eleganza di Andrè Silva è un gran bel vedere, ma la fame di Cutrone non è un valore da cui prescindere al momento. Paradossalmente, i due sembrano addirittura complementari ed il motivo è presto detto. Il Milan ha disperatamente bisogno di grinta. Non a caso, Musacchio è il centurione dei tre arretrati che più si è avvicinato alla sufficienza, Borini ha fatto meglio di Rodriguez in una fetta di campo non sua, Locatelli ha fatto il suo quando chiamato in causa, oltre al già citato Cutrone che, di fatto, ha spostato gli equilibri del match. Bonucci prenda nota.
Per il resto, la fotografia di questo Milan, checchè se ne dica, è il primo tempo giocato a San Siro. Non può bastare un secondo tempo d’assalto, poggiato sul carattere e sul cuore, più che sul fosforo. Il derby dà motivazioni supplementari, dovrebbe scatenare la voglia di aspirare agli “astra” citati dalla Curva Sud, ma in campo tutto questo per 45 minuti non s’è visto. L’anima rossonera, di cui Montella a fine partita narra con indubbie doti da affabulatore di telemarketing, è rimasta ingabbiata nei dettami tattici. E’ bastato piazzare il Borja Valero meno in condizione della sua carriera su Biglia, per fiaccare la manovra. E’ chiaro che, con l’argentino incatenato, mettere la costruzione del gioco nei piedi di Kessiè è una necessità deleteria.
Questo introduce altre riflessioni, tra cui la sentenza che più fa male: questo Milan non sa imparare dai suoi stessi errori. Li commette in continuazione, eppure non ne trae insegnamento. Romagnoli, Bonucci e Musacchio, a questo punto della stagione, dovrebbero mangiare nello stesso piatto e, invece, hanno più falle comunicative di una coppia alle prese con la crisi del settimo anno. Rodriguez viaggia a targhe alterne, come Milano nelle domeniche anti-smog. Suso soffre di claustrofobia e si accende solo quando ha il giusto ossigeno per sfiammare dalla distanza (bel gol, ma il resto?). E’ chiaro che, se la difesa a 3, e conseguentemente il 3-5-2 (o 3-4-3) deve continuare ad essere il copione da interpretare, la parola d’ordine è velocità. Leggende metropolitane hanno identificato in Mazzarri l’ombra più pesante sulla capoccione confusionario di Montella. Pur astenendosi dalle valutazioni sul valore del tecnico livornese, non guasterebbe applicarne i principi cardine, che in fondo sono le qualità migliori mostrate finora. Pressione e ripartenze, aggressività e follia, attenzione e voglia di tirarsi fuori dalle sabbie mobili di una classifica fin troppo deficitaria. Forse, così, il cambio in panchina potrà essere scongiurato. Il cambio di marcia, invece, no.
Servizio di Valerio Lauri ©riproduzione riservata
Twitter: @Val_CohenLauri
Lascia un commento