Views: 2
Da Koulibaly a Kean, da Mazzoleni a Gavillucci. È la grande sceneggiata del calcio italiano. Quel calcio che, sin da quando si è bambini, ci insegnano che deve essere prima di tutto simbolo della lealtà, del rispetto nei confronti dell’avversario, della battaglia pacifica fra tifoserie che sostengono i propri colori, le proprie bandiere e la propria città. Nell’anticipo serale del turno infrasettimanale andato in scena alla Sardegna Arena nella quale si sono fronteggiare Cagliari e Juve, i soliti imbecilli di turno non si sono lasciati sfuggire l’occasione di ululare al gol di Moise Kean, autore del raddoppio della Juventus a pochi minuti dal termine. La lite a Sky fra Adani e Giuliani, presidente del Cagliari, sottolinea quanto se da un lato c’è chi si indegna per un calcio che tutto trasmette tranne che i valori dello sport che dovrebbero da questo stesso prescindere, dall’altro lato c’è chi si oppone sottolineando quanto gli ululati fossero indirizzati al Kean calciatore della Juventus e non al Kean ragazzo dalle origini africane. Quanto si sta consumando nella stagione in corso è certamente una di quelle pagliacciate che da sempre contraddistinguono il calcio italiano. Le discussioni sulle gestioni arbitrali di Mazzoleni e Gavillucci, chi nel torto e chi nella ragione, nonché l’incapacità di porre fine agli ennesimi episodi a cui purtroppo siamo abituati e che continuano a mostrarci il lato oscuro di questo sport, sono solo la prova di quanto degradante sia la situazione calcistica e sportiva della nostra nazione. D’altronde, quando al potere si hanno uomini che ottengono potere grazie alla loro capacità di indirizzare le masse contro un nemico comune, contro lo straniero (corsi e ricorsi storici) è facile assistere a questi episodi. Se poi a questi avvenimenti si aggiunge una risposta come quella di Nicchi, presidente dell’AIA, il quale commentò la vicenda Samp-Napoli con le parole seguenti, l‘arbitraggio è un hobby, ora te ne troverai degli altri, allora il tutto culmine in una vera e propria barzelletta. Allegri, nella conferenza immediatamente successiva al match di stasera, ha dichiarato che si hanno a disposizione tutti i mezzi per porre fine al razzismo negli stadi, ma che evidentemente qualcuno preferisce non usarli.
È la tragica storia di un calcio che non è portavoce di ideali di unione, di legalità. È il calcio che non ci piace, il calcio a cui non vorremmo assistere. È il calcio degli scontri, dei morti all’esterno degli stadi, dei feriti. È il calcio lontano anni luce dal rispetto che ogni società dovrebbe avere nei confronti dell’altra avversaria, pur mantenendo i ruoli di leali avversari sul campo. Tutto passa fra le parole di Adani che urla la vergogna di stare a guardare un calcio diseducativo, utilizzando parole molto dure e “francesismi” che anche se rendono un linguaggio televisivo poco educativo, sottolineano la rabbia di chi ama questo sport, di chi con questo sport ci lavora e di chi, com’è giusto che sia aspetta di essere ripagato quanto meno nel poter commentare ciò che rende bello questo sport e non ciò che questo sport lo rovina. Malgrado l’esultanza di Kean, forse anche discutibile, non dovrebbe esserci miccia che possa dar fuoco al razzismo, non dovrebbe esserci miccia che possa dar luogo a risse, scontri o qualsiasi episodio che si allontana da un calcio concepito come spettacolo di lealtà e rispetto. Occorre adottare delle misure adeguare per porre fine al razzismo negli stadi, per evitare di poter assistere ad episodi in cui sono coinvolti nuovi Koulibaly, nuovi Kean, nuovi Matuidi o nuovi Boateng e a quest’opera di ristrutturazione del calcio italiano è giusto che debbano partecipare tutti coloro che dall’alto dei propri ruoli possono migliorare lo spettacolo che viene offerto al pubblico vuoi la domenica vuoi il mercoledì, allontanando quella gente che rende scandaloso il calcio italiano, e che costringe noi giornalisti a parlare ancora una volta di queste tristi parentesi calcistiche piuttosto che di puro e sano calcio.
Lascia un commento