16 Giugno 2025
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Lettera aperta a “certi tifosi”

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Poiché la questione è delicata, più seria di quel che può sembrare, metterò subito in chiaro i miei intenti, chiarirò immediatamente chi sono i destinatari e la ratio del mio pensiero. Andiamo con ordine: credo che il miglior stile, la mentalità più autenticamente sportiva nel tifare la propria squadra sia appannaggio dei popoli germanici e anglosassoni. Gente che tifa la propria squadra, nella buona e nella cattiva sorte, con un’appartenenza territoriale e viscerale verso i propri colori, la propria storia, un tifo che va oltre le categorie e, soprattutto, i risultati del campo. Tre esempi, freschi freschi, che suffragheranno questa visione delle cose: siamo alla fine di Arsenal – Aston Villa partita valevole per la finale di FA Cup, gara nella quale i Villans, società da anni senza vittorie ma con un passato glorioso, ai vertici europei, hanno subito 4 gol in una gara senza storia. La prima finale dopo quasi cinquant’anni e anni di anonimato in Premier. Eppure squadra applaudita dai quarantamila giunti allo stadio “Wembley”, alcuni di loro in lacrime, ma ben avvolti nelle loro sciarpe o con addosso la maglietta del proprio club (e rigorosamente senza personalizzazione). Germania, tifosi del Borussia Dortmund che applaudono, nonostante l’ennesima delusione di un’annata tragica, la loro squadra uscita sconfitta dalla finale di coppa nazionale. Qualche giorno prima stessa scena ripetutasi in campionato. Più o meno le stesse scene accadute ad Amburgo dove la squadra, che castigò la Juve in una finale di Coppa Campioni, rischia di retrocedere per la prima volta nella sua storia. Sia chiaro che le “contestazioni” esistono anche da quelle latitudini, ma con modalità, tempistiche e, soprattutto, attori molto diversi. Passiamo quindi alla seconda premessa e cioè i destinatari di questo articolo, anche se qui si rende necessaria una premessa alla premessa. Esistono vari tipi di tifosi: il tifoso che c’è sempre e quello occasionale, il tifoso sincero e quello “in cerca d’autore”, cioè che usa i risultati della sua squadra per affermare se stesso rispetto agli amici del “Bar dello sport”, poi c’è il tifoso competente e il tifoso incompetente che spesso scambia il calcio per il ping pong, ancora il tifoso che espone uno striscione allo stadio e quello da social network che, a ben vedere, riassume un po’ tutti i difetti di quelli di cui sopra, perché gli stati di Facebook o i “cinguettii” spesso sono di una demagogia unica. In generale possiamo dire che esistono due tipi di tifosi, quello competente e sinceramente legato alle sorti della sua squadra, mai banale, mai eccessivo e sempre misurato. Poi c’è quello caciarone, quello che contesterebbe pure dopo una finale di Champions vinta per 5-0 quello al quale non va mai bene nulla, quello perennemente offeso da tutto e tutti, che vede macchinazioni di palazzo pure per un fallo laterale invertito a centrocampo, quello che si sente sempre defraudato di qualcosa, ma chissà che cosa, quello che la società è sempre nemica e i giocatori mercenari, miliardari viziati etc. Ed è a loro che dedico un pensiero. Chi vi scrive lo fa a caldo dopo la batosta subita dal Napoli contro la Lazio, ma memore delle tante baggianate (e mi trattengo dall’usare termini ben più coloriti ma certo più efficaci che renderebbero meglio l’idea) lette sui social o ascoltate per strada. Gente che, pur professandosi di fede azzurra, si augurava una vittoria degli avversari perché i propri non sarebbero stati “degni”, oppure gente che “darebbe la vita” per la sua squadra salvo poi augurarsi di vederla perdere. Ma lo diceva anche De André che quelli che professano intenzioni da “martiri della fede” alla fine sono i primi a preservarsi la pellaccia. Oppure gli “smemorati di Collegno” quelli che fino al giorno prima Benitez era il miglior allenatore d’Europa mentre ora sembra l’ultimo degli incompetenti. O anche quelli che pur di contrastare il tifoso dell’altra squadra sarebbe pronto a giurare che sia il sole a girare intorno alla terra, quelli dei “tanto Higuain è meglio di Cavani”, liddove, nel caso specifico, era ovvia un’impossibilità di paragone tra i due. O anche quelli che scoprono che i giocatori vanno in discoteca fino a tardi; scoperta sensazionale, d’altronde chi a vent’anni va in disco, nessuno al massimo qualche sfigato: e la mia domanda, che vorrei tanto rivolgere a questi puritani 2.0, è che se il Napoli avesse vinto il campionato, si sarebbero fatti gli stessi problemi? Difficile avere risposta, di solito questi personaggi si sentono sempre dalla parte della ragione, della verità assoluta. Tanti piccoli esempi, storie di tifo assurdo, senza logiche, poco autenticamente sportivo, deviato, sbagliato. Proprio così, sbagliato! Perché uno tifa la maglia, espressione della propria terra, della propria storia; chi la indossa conta fino a un certo punto, soprattutto in un calcio, come quello contemporaneo dove certi valori di apparteneza ai colori non esistono più. In un calcio-business esasperatamente rivolto a logiche di merchandising quei 90 minuti di campo dovrebbero significare la vera essenza di questo bellissimo gioco affinché lo stesso continui ad essere considerato uno sport. E i tifosi dovrebbero esserne i custodi gelosi lasciando da parte, accantonando decisamente logiche lontane non solo da lui ma dal calcio in generale. Ma forse, in un’Italia sempre più allo sbando, in tutti campi, chiedere questo è davvero troppo. Un difetto tipicamente italiano, entrare nel privato delle persone, ponendo sulla loro testa un miliardo di spade di Damocle, osteggiarlo fino a considerarlo come un nemico magari perché si è sbagliato qualche passaggio o rigore di troppo. Salvo poi ritrattare alle prime avvisaglie di successi. E questo pendolo schopenhaueriano sembra essere esaltato all’ennesima potenza in una piazza come Napoli. Una piazza che può darti tutto e nulla, passare dalla luce del paradiso alle fiamme dell’inferno nel giro di mezz’ora. Sia chiaro che questo accade anche in altre zone dell’italico stivale, anzi dappertutto a ben vedere; ma in certe piazze la portata del fenomeno è certamente maggiore. La grandezza di una squadra, di una società passa anche per la “maturità” della piazza.
Essere tifosi significa amare la maglia e non chi la indossa, perché gli uomini passano, le idee restano. Esserci nel bene e nel male, ricordarsi da dove si viene e, anche qui, essere orgogliosi della propria storia. Per carità tutto questo, anche a Napoli, soprattutto a Napoli c’è, esiste, ma a volte sembra oscurarsi da certe altre logiche di tifo.
Manco se fossero solo i risultati e le vittorie a rendere gloriosa una squadra; certo sono importanti, fondamentali, ma la gloria di una società sta anche nella capacità di rappresentare un territorio, dei valori condivisi.
Quindi, caro tifoso/a da tastiera, caro tifoso/a da bar, caro tifoso/a che fai dell’apparenza, della tua immagine una conseguenza di quella della tua squadra, caro tifoso/a indignato dell’ultima ora, caro tifoso/a martire della verità, cari tifosi sbagliati, e che forse tanto tifosi poi non siete, non sarebbe meglio cambiare sport? D’altronde siamo in estate, i tornei di bocce abbonderanno…

Vincenzo di Siena

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Collaboratore del sito www.footballweb.it cura la Casertana

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