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Intervista di Michele Pisani @riproduzione riservata
Venghino siori e siori, la giostra dei ricordi è pronta per un altro giro. In un momento di crisi a dir poco ‘certificata’ siamo gli unici ad andare controcorrente e ne siamo felici. Aumentano i nostalgici. Quelli che hanno vissuto il calcio senza dirette tv, senza moviola. Attaccati alla radiolina per novanta minuti, pronti a far esplodere l’entusiasmo ad ogni gol. “Scusa Ameri, interrompo dal Partenio di Avellino….” Chi avrà segnato? Noi o gli avversari? Il cuore in gola. Attimi terribili. In effetti si poteva intuirlo subito, come ? Bastava capire dal boato del catino di Contrada Zoccolari. Se c’era, allora il gol era dei nostri beniamini. Oggi, tra moviola in campo e cento inquadrature, s’è perso il fascino di una volta. Poco male, noi siamo sempre qui a raccontarvi di quegli anni. Altro giro, altra corsa. Questa volta tocca ad un ‘eroe’ del 73′. Una squadra tra le più forti in assoluto della storia dell’Avellino calcio. Giuseppe Palazzese è il contatto di questo ennesimo amarcord. Classe 1950, nato a Notaresco in provincia di Teramo è stato un calciatore dell’Avellino negli anni 1971-72 e 1972-73. Sessantotto presenze e ben otto reti.
Un metro e settantasei per settantadue chilo. Ha appeso le scarpe al chiodo nel 1982. Spal, Viareggio, Avellino, Brindisi, Turris, Crotone e Rende le squadre nelle quali ha militato Palazzese. Centrocampista dai piedi buoni, soprannominato ‘fru fru’, contribuì in maniera determinante alla promozione in cadetteria. Contattato telefonicamente ha dischiuso il suo muscolo cardiaco ed ha iniziato a raccontarci la sua esperienza nel capoluogo irpino, quarantanni dopo. “Di Avellino ho un ricordo indelebile. Non si possono dimenticare quei tifosi, quei compagni. Era tutto perfetto. Non ho vinto molti campionati nella mia carriera ma ad Avellino ho trascorso gli anni più belli. La prima stagione ci salvammo a fatica, quella successiva raggiungemmo un traguardo storico. Una promozione incredibile a danno di un Lecce che aveva grandi nomi”. Voi, però, non eravate da meno. “In effetti anche noi avevamo tanta qualità in tutti i reparti. Un gruppo di ferro. Giocatori di categoria superiore senza dubbio con tanta qualità e a quell’epoca in C non c’erano molti di giocatori così. Non avevamo molti attaccanti eppure giocavamo sempre nella metà campo avversaria. Debbo dire che avevamo anche un grande allenatore come Tony Giammarinaro. In quell’anno non esistevano i titolari ma solo un grande gruppo, una vera e propria famiglia. Si remava tutti dalla stessa parte e poi avevamo un grande presidente come Sibilia ma non spetta a me te tessere le lodi, lo conoscete tutti ed anche meglio di me”. Parliamo del commendatore, che tipo era? “Eccezionale, un vero padre. certo che non era un tipo facile ma a me voleva un gran bene. Mi ricordo sempre che mi stimolava, mi prendeva in giro. Mi diceva “ma mo fai nu gol si o no? Non esistevano come ho detto prima i titolarissimi come oggi. Il mister faceva la formazione solo poche ore prima della gara. Era molto istrionico, capitava pure che dieci minuti prima di scendere in campo stravolgesse l’undici titolare. Ne so bene io qualcosa”. Ce lo racconti. “Pantani che era il leader della squadra venne da me e per dimostrarmi che sapeva sempre tutto in anticipo mi disse che avrei giocato titolare. Arrivò Giammarinaro e mi disse che avrei iniziato dalla panchina. Allora Mauro andò da lui e gli chiese come mai visto che prima lo aveva assicurato che sarei sceso in campo dall’inizio. Il mister lo guardò e gli disse “Mauro ma lo sai bene che io cambio idea in continuazione di cosa ti meravigli”.
Mauro Pantani, un grande. Che ricordi ha di quell’incredibile personaggio? “C’erano giocatori con caratteristiche incredibili. Nobili, Pantani e Marchesi, quando gliela toglievi la palla? Una difesa di ferro ed un portiere eccezionale come Miniussi. Pantani era un vero fuoriclasse. Una bandiera. Come pochi. Ancora stento a credere che giocasse in serie C e non in massima serie. Aveva tutte le qualità del vero campione”. Era anche il leader fuori dal rettangolo da gioco? “Si. In effetti era uno che sapeva mettere allegria a tutti. Caricava la squadra quando ce n’era bisogno. A volte diceva che bastava mandare la palla in avanti che ci avrebbe pensato lui a fare gol”. Allora è vera sta cosa ? “Si. Diceva: “Passat a pall o mast”. E poi cosa succedeva ? “Che faceva gol. Semplice”. Si ricorda qualche gol che reputa importante, da non dimenticare. “Fu il primo anno. Non mi capitava spesso di fare tanti gol in una sola gara. Ne feci tre a Torre Annunziata contro il Savoia. Non lo dimenticherò mai. Arrivato a casa lo dissi a mio padre che non ci voleva credere. In effetti io di gol non ne facevo poi tanti. Mi piaceva di più fare l’ultimo passaggio per far segnare un mio compagno”. L’ultimo ? “Nella gara del Flaminio di Coppa Italia contro l’Alessandria. Il momentaneo pareggio ma poi perdemmo”. Ci parli della città. “E’ da tempo che manco da Avellino, vorrei tornarci al più presto. Magari un occasione con tutti i miei ex compagni. Io ci sono stato bene, vivevo nel palazzo della signora Campanella. Conoscevo molti negozi del centro. Si andava sempre a mangiare da Tutino. Mi piaceva Avellino, una città calorosa con gente meravigliosa”. Il pubblico? “Eccezionale, il dodicesimo uomo in campo.”. I rapporti con i suoi ex compagni? “Ottimi. Mi dispiace per Miniussi e Zecchini che non ci sono più. Qualcuno l’ho perso di vista ma con Pantani e Fraccapani ci si sente spesso ma anche con gli altri”. Gli chiedo la formazione, così a bruciapelo. Risultato? Ve lo diremo in seguito. Pazientate. Anzi no, eccovela: “Miniussi, Piaser, Codraro, Zoff, Fraccapani, Piccinini, Palazzese, Nobili, Pantani, Marchesi, Bongiorni. Ma tutti giocavano anche quelli della panchina”. Perché andò via nel 1974? “Ad essere sinceri io avrei dovuto andare via l’anno della vittoria del campionato ed esattamente alla Juve Stabia. Mi voleva Gianni Di Marzio ma fu proprio Giammarinaro a volere che restassi. Poi Di marzio andò a Brindisi in B ci fu una richiesta e mi trasferii in Puglia. Dissi a mia moglie che se fossi arrivato in cadetteria mi sarei sposato. E cosi fu. La prima partita con il Brindisi fu proprio al Partenio contro l’Avellino. I Lupi vincevano per due a zero ma poi persero tre a due ed io, ironia della sorte, segnai anche un gol”. Lei si considera un uomo del Sud ? “Diciamo che quando giocavo a calcio mi davano sempre del terrone”. Quanti nipoti ha ? Gli racconterà della sua esperienza ad Avellino? “Ne ho quattro ma sono tutti piccoli. Però lo farò. Partirò da questa intervista”. Lo sa che è partita la caccia su Facebook a Giuseppe Palazzese? “Si. Mio figlio ha messo delle foto dei tempi di Avellino ed un sacco di gente mi ha scritto. Molti non li conosco ma mi farebbe piacere incontrarli”. Prima di lasciarci, ci racconti un altro aneddoto. “Volentieri. Ricordo che Pantani aveva un duetto Alfa Romeo con i cerchi e gomme larghe. Mauro mi disse ma perché non li prendi tu che io vendo la macchina? Io gli dissi a Mà vuoi che mi freghino la macchina? E cosi fu. Poi la ritrovai ad Agropoli dopo un mese”. la città dopo la vittoria del campionato? “Uno spettacolo. Tutta Avellino era colorata di bianco e verde. Ogni strada aveva una scritta diversa. Sono passati tanti anni ma ho ancora quel ricordo”. Anche Palazzese non ha resistito al richiamo. un grande uomo, l’ennesimo. Altro giro, altra corsa. La ricerca degli ex calciatori dell’Avellino non conosce soste. Siamo già in moto per l’ennesimo contatto. Un difensore che anche in aria di rigore avversaria sapeva farsi rispettare. Di chi si tratta? Non perdeteci di vista e lo scoprirete. Venghino siori e siori, la giostra dei ricordi è pronta per un altro giro.
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