16 Giugno 2025
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Figc, il cimitero degli elefanti

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“Chiunque ha una poltrona, tende a conservarla quanto più possibile nel tempo. E questo fa perdere la voglia di partecipare, di appassionarsi”. Un istinto di sopravvivenza che si ripete nella vita di tutti i giorni, che resiste nei secoli, che non conosce limitazioni di professioni o ceti sociali. Quasi un’incapacità di reinventarsi per non morire di inedia. A parlare così, poco prima della riconferma di Carlo Tavecchio al vertice della Figc, fu Damiano Tommasi, presidente dell’Aic. Una intemerata forte, che andava a vivisezionare il piccolo fallimento gestionale del ragioniere di Ponte Lambro. “Non ha voluto risolvere i problemi che ci affliggevano.
Non ha mai coinvolto la nostra categoria. Nelle elezioni federali sono rappresentate solo le società ma non i tifosi o i tanti che hanno interessi in questo mondo. E’ un ambiente che fa fatica a cambiare al suo interno. L’affronto più grande è stato quello di ignorare lo sciopero indetto dal calcio femminile”. Tommasi, nel ribadire il voto per Andrea Abodi, presidente dimissionario della Lega di B ed unico competitor di Tavecchio, ebbe a ricordare anche dello strano accordo di sponsorizzazione, deciso d’imperio e senza alcun consulto col mondo dei calciatori, con Intralot del gruppo Gamenet (noto concessionario dello Stato nel mondo dei giochi e delle scommesse). Tutto ciò mentre la nuova Lega Pro di Gabriele Gravina, appena qualche mese prima, aveva legato il suo nome all’Unicef con un salto quantico anche dal punto di vista dell’immagine. Tommasi è rimasto praticamente solo col cuo coraggio. Ma almeno potrà dire un domani di aver portato avanti una battaglia di coerenza, laddove altre componenti hanno pensato bene di riposizionarsi per mero utilitarismo o piccoli equilibri politici.
C’è il caso eclatante dell’Aiac, l’associazione degli allenatori rappresentata da quel Renzi Ulivieri che, solo sei anni fa, si era incatenato per protesta contro la decisione di Tavecchio, allora presidente della LND, di sconfessare l’accordo che avrebbe reso obbligatoria la presenza in panchina di allenatori dotati di regolare patentino nelle categorie minori. C’è il caso dell’Aia di Marcello Nicchi, grande elettore meno di tre anni fa di Demetrio Albertini, colui che contese a Tavecchio la poltrona più alta della Figc. Ma qui questa metamorfosi non dovrebbe sorprendere più di tanto, considerato che Tavecchio ha garantito all’Associazione l’intoccabilità di fondi e risorse. Ma c’è di più in realtà: non è un mistero che l’Aia viaggi da sempre a braccetto con la Juventus nella ricerca di strategie comuni. Solidali, nel 2014, nel fronte pro-Albertini e a braccetto anche ora in ausilio di Tavecchio. Sì, perchè anche il club bianconero ha alimentato le fila delle grandi società (Inter, Milan, Lazio e Fiorentina, oltre alla Samp di Ferrero) che hanno confermato la fiducia nel ragioniere lombardo. Balla forse un accordo amichevole sul maxi risarcimento (quasi 600 milioni di euro) per il quale la Juve ha trascinato al Tar (e successivamente al Consiglio di Stato) la Figc dopo la vicenda Calciopoli. La Roma, esattamente come l’Aic, non ha rinunciato ad un percorso di estrema coerenza. Con lei sicuramente Cagliari ed Empoli. Più diplomatico il Napoli e c’era da attenderselo. De Laurentiis non ha preso alcuna posizione ufficiale anche se tre anni fa ostentò ai quattro venti la sua preferenza per Tavecchio. Difficile per lui votare il presidente Figc dopo gli screzi, anche pubblici, degli ultimi mesi. Ma arduo scontentare la Juventus, con cui il patron azzurro ha costruito da tempo un asse privilegiato dopo aver mollato Lotito (che, scaricato un po’ da tutti, potrebbe candidarsi alla presidenza della Lega di C. Ne è uscita una astensione che non fa arrabbiare nessuno ma, forse, è stata persa una grande occasione per dare un segnale di discontinuità.
La B si è invece schierata compatta con Abodi, a parte Avellino e Bari oltre alla Salernitana di Lotito.
Stesso discorso per la Lega Pro di Gabriele Gravina, uno dei pionieri del fronte anti-Tavecchio. Anche qui un quintetto di club ha voltato le spalle ad Abodi: tra questi, sicuramente la FeralpiSalò. Tavecchio, come noto, ha trionfato solo col 54% dei voti, contro il 46% andato ad Abodi.
Nel 2014 il suo successo si attestò al 64%. Un quadro di spaccatura frontale che non lascia presagire una governance serena nonostante il placet del governo Gentiloni (nel dicembre del 2015 il governo Renzi scese direttamente in campo, tramite il fido Lotti, per sponsorizzare Paolo Marcheschi al vertice della Lega Pro, spaccando il fronte dei club pro-Gravina). Non a caso, l’investitura fornita da Aiac e Aia è stata decisiva ai fini della sua riconferma. Più della decisione del presidente della LND, Cosimo Sibilia, che ha scelto una linea filogovernativa e non traumatica per il mondo dei dilettanti (da sempre a fianco di Tavecchio). Il dirigente avellinese, figlio del compianto Antonio, ha speso tutte le proprie energie per il riconfermato presidente Figc ma non era una novità. Anche perché sarà lui ad avanzare la propria candidatura all’alba delle prossime elezioni federali. Vedremo se unitaria o meno.
Per ora il mondo del calcio ha deciso di non rinnovarsi, di non avere coraggio nel rimettersi in discussione e di non cavalcare l’onda di una democrazia partecipata che, per esempio, caratterizza oggi la governance Gravina. Tutto questo mentre non si intravede alcuna intesa sulla riforma dei campionati, dalla A alla D, tra i tanti veti reciproci che bloccano ogni discussione e, qualora ci fosse, la rendono esoterica ed inaccessibile ai più. Oramai club e componenti vivono in un’arena itinerante dove riesce a spuntarla chi ha più peso politico e aderenze sostanziali. Questo, magari, sarà tema di discussione a parte ma la salute del calcio italiano avrà bisogno di medicinali forti. Ad impatto immediato.

About Stefano Sica 913 Articoli
Giornalista pubblicista e' uno dei fondatori di Footballweb

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