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C’era una volta un nero, un bianco e delle scimmie. Il nero è Koulibaly, centrale difensivo del Napoli, il bianco è Mazzoleni, direttore di gara del match fra Inter e Napoli. Come ci si aspetta le scimmie sono i tifosi, quelli che tifosi non sono, e forse non solo..
L’ennesimo episodio di razzismo. La pazienza ha un limite già quando si parla di razzismo in tivù nel 2018, figurarsi nel calcio che, utopia, dovrebbe quanto meno essere uno sport (come gli altri, si precisa) che unisce tutte le età, entrambi i sessi e soprattutto tutte le razze. Per 90 minuti del match a cui abbiamo assistito, il centrale dalla 26 è stato insultato per essere diverso,
accezione ormai arcaica (questo è quanto meno quello che si dovrebbe insegnare). Felice di essere francese, senegalese, napoletano: uomo!. Così ha commentato Kalidou dopo il match attraverso i suoi profili social. Orgoglio di una Napoli che urla rispetto, quel rispetto che non solo manca nelle occasioni in cui gli undici azzurri scendono in campo, ma addirittura manca in occasioni in cui Napoli e il Napoli non compaiono. Ma la domanda che più fuoriesce con rabbia dal petto è: Quando finirà tutto questo?. Quando si potrà finalmente dire che non c’è bisogno di essere razzisti e che diverso significa semplicemente un altro punto di vista?. E chi dovrebbe occuparsi di prendere dele decisioni ferrate si limita a sanzioni che non servono minimamente a sopprimere quell’odio che ancora ha la meglio sugli spalti. Così, gente per bene come Ancelotti, e non solo chiaramente, è costretta a considerare come soluzione più giusta l’abbandono del terreno di gioco da parte dei calciatori. L’allenatore del Napoli ha dichiarato con chiarezza che tre sono state le richieste di sospensione del match per i continui insulti razzisti rivolti al calciatore, ma che nessuna risposta è tornata indietro se non quella, seppur non esplicita, di voler continuare il gioco. Fino a quel gesto, fino all’applauso di Koulibaly. Applauso che certamente non va giustificato, ma che sottolinea quanto ci si riveli incapaci nel prendere delle decisioni che dovrebbero prescindere dal risultato, dal gioco, dalla classifica e da tutto ciò che è lo sport. L’umanità, che dovrebbe essere al primo posto nel mondo, deve prescindere dallo sport, prescindere dal lavoro che ogni addetto ai lavori deve svolgere con assoluta correttezza. Umanità e rispetto: è questo il binomio perfetto che sin da piccoli viene insegnato ai bambini nelle scuole calcio. Si insegna a stringersi la mano e a considerare l’uomo con un’altra divisa un avversario e mai un nemico. Un uomo con cui scherzare e discutere al di là del colore della pelle.
Mai quanto questa volta, ci si accorge che l’uomo deriva davvero dalle scimmie. E che scimmie sono considerate quelle persone che inneggiano al razzismo, magari davanti ai loro figli, dando il cattivo esempio. L’azione i Koulibaly non va giustificata, ma va sottolineata, messa al centro di una discussione ben più ampia sul razzismo negli stadi. Nella scorsa Sampdoria-Napoli l’arbitro, sempre per cori contro K2, il direttore di gara decise di sospendere il match. Perché non lo si è fatto anche stavolta, su espressa richiesta della società calcio Napoli? Poco importa l’esito del match, perché parlare di un argomento così delicato significa considerare che questo prescinde dallo sport in sé, così come dalle divise, dalle società, dal risultato. Siamo nel 2018 (quasi 2019 ormai) ed un ragazzo di 19 anni pretende che un uomo possa essere giudicato da tutte le sue azioni, meno che dal colore della pelle. Bisognerebbe ricordarseli a volte certi valori, liberare una mente intrisa di pregiudizi e cattiveria. Nella vita, come nello sport. Ecco perché, più che sottolineare l’espulsione di Koulibaly (che sicuramente da un punto di vista del regolamento c’è, o è quanto meno discutibile) bisogna sottolineare la mancanza di buon senso di Mazzoleni. Quella non c’è nel regolamento. Nel regolamento c’è solo la possibilità di sospendere il match per insulti razzisti. E ora quanto meno ci si aspetta che questa possibilità diventi immediatamente obbligo. Che ci sia un intervento che dia un segnale forte, inequivocabile, che non si limiti alle solite ammende societarie o chiusure delle curve.
Kalidou Koulibaly, come dice Ghoulam, è un fratm. Già, è un fratello, uno come noi, uno come qualsiasi altro essere umano sulla faccia della Terra. I valori che i genitori insegnano ai loro figli devono essere trasmessi nello sport, senza che ci siano episodi del genere. E chi ha il compito i farli rispettare non deve mai astenersi dal proprio dovere. Ecco perché si condanna il Mazzoleni uomo. Quello che fa di testa tua e se ne frega se qualcuno grida Buuu dalle tribune. Pensa che sia un compito che non gli spetti, pensa che non bisogna dar conto a certi cori. Invece no, bisogna dar conto eccome. Bisogna esaltarne la presenza proprio per dimostrare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Ebbene sì, bisogna ancora distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, ancor più assurdo quando si parla di razzismo. E finisce così, con una triste verità: la scarsa attenzione e la scarsa prevenzione su episodi di razzismo negli stadi e la vergogna, pur non facendo parte di certe scimmie, di essere italiani.
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